Paradigmi della ricerca di genere

Flavia Franconi1

1. Assessora Politiche della Persona e Vicepresidente della Regione Basilicata; Dipartimento Scienze Biomediche, Università degli Studi di Sassari.

Summary. The Author introduces the concepts of sex and gender, which have equal dignity and are considered as being associated in order to highlight their intricate, complex and long-lasting interactions: epigenetics would appear to have clarified the ways in which society modifies our biological body, removing the dichotomy between sex and gender. Starting from the fact that preclinical and clinical research was, in the past, primarily conducted on male subjects, some of the consequences of the absence of a gender perspective are analysed, such as a lesser appropriateness of treatment and a greater incidence of the adverse effects of medicinal products in women than in men. In addition to biological factors, environmental and socioeconomic factors are also considered: the example used is the role of caregiver, which is primarily covered by women, with heavy repercussions on their wellness. To conclude, the Author discusses the hope that healthcare organisation assessment systems are developed using “gender-related” standards.

La medicina di genere è una nuova frontiera che prevede una nuova consapevolezza culturale e scientifica insita nel termine “genere”, perché oltre a considerare le somiglianze e le differenze fenotipiche della persona considera lo stile di vita, il contesto socio-culturale, ambientale, la situazione occupazionale ecc., poiché anche questi ultimi fattori condizionano in maniera notevole lo sviluppo, l’evolversi della malattia, la possibilità di accedere alle cure e la risposta alle stesse. Appare opportuno sottolineare che la medicina di genere è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, con la pubblicazione dell’Equity Act (2002) sottolinea l’importanza di un approccio sanitario basato sul genere, per essere poi considerata una priorità nel 2013.

Prima di procedere oltre, è opportuno dedicare un po’ di spazio per definire i termini “sesso” e “genere”. Col termine “genere” si indica l’influenza della società e della cultura su un corpo maschile o femminile e ha prevalso sul termine “sesso” perché ritenuto politicamente più corretto. Talvolta il termine “genere” è stato usato, o è usato, per indicare solo il genere femminile e ciò ha prodotto, e produce, numerosi malintesi, ma è oramai inconfutabile che la medicina di genere considera tutti i generi dandogli pari dignità. Anche il concetto di “sesso”, che si riferisce alle differenze biologiche che contraddistinguono il “maschio” dalla “femmina”, non è di facile definizione perché gli studi sui disturbi della determinazione e differenziazione sessuale evidenziano che il maschile e il femminile sono un continuum1. Inoltre è opportuno essere consapevoli del fatto che le differenze biologiche possono essere modificate dal genere e viceversa e ciò suggerisce che tra sesso e genere esistono interazioni complesse e costanti tanto che non è agevole distinguere il ruolo dell’uno e dell’altro2. L’attività dell’ambiente sui geni, come ha mostrato l’epigenetica, è sesso-specifica e variabile nel corso della vita3. In conclusione, l’epigenetica sembra chiarire le modalità con cui la società modifica il nostro corpo biologico eliminando la dicotomia tra sesso e genere che, negli anni passati, ha determinato lunghe discussioni fra i sostenitori della supremazia dell’uno o dell’altro. Perciò alcuni autori, tra cui la scrivente, sostengono la necessità di associare i due concetti usando “sesso-genere”4-6 per sottolineare le intricate, complesse e durature interazioni che esistono fra sesso e genere e per dare pari dignità ai due concetti. Proprio il superamento di tale dicotomia ha fatto nascere l’esigenza di nuovi e più complessi paradigmi sperimentali che portano al superamento del riduzionismo per avvicinarsi alla complessità della vita.

Infine, le molteplici differenze potrebbero essere negate dall’applicazione del principio di uguaglianza perché, in linea con quanto sostenuto dal premio Nobel François Monod, il concetto d’uguaglianza in biologia è stato “inventato precisamente perché gli esseri umani non sono identici”. Pertanto, un egualitarismo astratto, che non vede le differenze, si può tradurre in ingiustizia. La “differenza” è quindi un valore da preservare, perciò la Medicina di genere che esalta le differenze è pervasa dal concetto di “equità”. Ovviamente, il principio di uguaglianza è fondamentale nel campo dei diritti e delle opportunità.

La sperimentazione e la terapia di genere

Fino a pochi anni fa, per la medicina l’umanità era composta praticamente da un solo genere ed esattamente da quello maschile. Eppure l’epidemiologia, la storia naturale delle malattie, gli esiti ecc. erano, e sono, genere-specifici4,6-9. Oggi le differenze cominciano a essere rilevate, ma nella pratica clinica quotidiana permangono, ancora oggi, molti svantaggi a carico delle donne e delle bambine, anche se in patologie come l’osteoporosi, l’emicrania, il cancro della mammella sono presenti alcuni svantaggi a carico del genere maschile6. Come abbiamo già accennato le differenze, o almeno alcune di esse, sono conosciute, ma spesso non sono traslate nella pratica clinica, per cui vi è una minore appropriatezza nelle donne rispetto all’uomo. A titolo esemplificativo, ricordiamo che le differenze di dimensione e composizione corporea (le donne sono più basse e più magre rispetto all’uomo, hanno più tessuto adiposo e una minore massa muscolare e un minor contenuto di acqua totale rispetto alla controparte maschile) hanno importanti conseguenze sui parametri della farmacocinetica e della tossicocinetica dei medicamenti e dei tossici6,10-12 e quindi dovrebbero essere considerate nella determinazione del dosaggio dei farmaci, ma ancora adesso purtroppo la dose media è fissata considerando un uomo caucasico di 70 Kg di peso. Il cuore, il rene, il fegato, il cervello, il polmone, ecc., delle donne e degli uomini sono diversi6-7 e tali differenze iniziano in utero6 e variano con l’età. A questo proposito ci piace ricordare che la terapia antibiotica durante la prima infanzia induce un aumento della massa corporea nei ragazzi ma non nelle ragazze13.

Al di là dei fattori biologici, il contesto svolge un ruolo importante nella salute, infatti si stima che il 24% di tutte le malattie sia dovuto proprio a cattive esposizioni ambientali e a fattori socio-economici, tanto che è stata descritta la cosiddetta “status syndrome”14. In particolare, il più basso stato economico e sociale si associa all’insorgenza di malattie cardiometaboliche, e tale associazione è particolarmente importante per le donne15. Fra i fattori ambientali che maggiormente incidono sulla salute delle donne ricordiamo il ruolo di caregiver: esso è, infatti, prevalentemente svolto dalle donne e ciò porta a una perdita di benessere e a una diversa risposta ai farmaci11.

Se si vuole avere un approccio di genere è necessario considerare anche le diadi sperimentatore-oggetto della ricerca, medico-paziente, perché anche il genere dello sperimentatore e/o del medico modifica la risposta farmacologica. Ad esempio, le donne diabetiche curate da medici donne raggiungono più facilmente i target terapeutici rispetto a quelle seguite da medici maschi16. L’aderenza alla terapia è fondamentale nella risposta farmacologica, così come la risposta al placebo, e anche qui il genere sembra giocare un ruolo chiave5,11.

Se andiamo ad analizzare ciò che è avvenuto in un passato anche recentissimo, emerge che la ricerca preclinica e clinica, con l’eccezione dei fenomeni sesso-genere specifici, è stata prevalentemente, se non esclusivamente, condotta su soggetti di sesso maschile12. Infatti, nella preclinica sono stati utilizzati prevalentemente animali maschi e se si considerano gli studi sulle cellule emerge che nel 75% dei casi si ignora il loro sesso12. Eppure, quando si studiano, le differenze sono presenti potendo anche essere diverse nelle varie specie animali in funzione del parametro che si studia e della cellula e tessuto presi in esame17-18. Una accurata analisi evidenzia che non è sufficiente conoscere il sesso degli animali o delle cellule perché il sesso niente ci dice sui fattori ambientali del donatore delle cellule e sulle condizioni di vita degli animali12. In altre parole, il concetto di genere non si limita all’essere umano ma si deve estendere al resto del regno animale. Problemi analoghi si pongono nella ricerca clinica, ad esempio nei trial per i grandi farmaci del sistema cardiovascolare le donne arruolate sono solo il 30%19: questo avviene proprio nell’epoca in cui non si fa che parlare di medicina personalizzata e di medicina basata sulle evidenze.

Questo stato di cose può essere responsabile del più basso profilo di sicurezza dei farmaci osservato nelle donne rispetto alla controparte maschile10,11. La maggiore incidenza degli effetti avversi nelle donne potrebbe essere causata dall’età, dalla politerapia che è più frequente nelle donne perché esse prevalgono nella fascia di età superiore ai 65 anni, dal sovradosaggio (visto che il dosaggio medio è fissato per un uomo di 70 kg di peso), dalla carenza di studi clinici.

Le donne mostrano una maggiore vulnerabilità verso alcuni effetti avversi. Ad esempio, le donne sono più suscettibili alle fratture ossee indotte da tiazolidinedioni, al lupus eritematoso da chinidina, da idralazina ecc., senza parlare della sindrome del QT lungo indotta da numerosi farmaci come gli antiaritmici, i procinetici, gli antipsicotici, gli antidepressivi, gli antistaminici e gli antibatterici10,11,19 e che può provocare aritmie fatali poiché le donne, specialmente in età fertile, hanno il tratto QT dell’elettrocardiogramma più lungo rispetto all’uomo. Il rischio di effetti avversi è inoltre associato alla depressione e questa colpisce maggiormente il sesso femminile6.

Se i fattori ambientali modificano la risposta ai farmaci, è evidente che è necessario mettere in atto protocolli che prendano in considerazione tali aspetti, poiché essi hanno un ruolo importante nella risposta terapeutica. Per disegnare tali percorsi la ricerca di genere deve considerare i paradigmi dell’intersettorialità, pertanto deve adottare strategie problem-solving basate sulla capacità di adattamento, sul pragmatismo, sull’assunzione del paradigma della complessità e, fondamentale, sulla definizione operativa dei concetti, dei fattori e dei parametri a essi attribuiti20, abbandonando quindi l’utilizzo di tipo dualistico o semplificato di sesso e genere per non aumentare il rischio di effetti di confondimento o riduzionismo21.

L’applicazione di un approccio in chiave sesso-genere, oltre che concorrere all’appropriatezza e alla pratica di una medicina basata sulle evidenze, può condurre a una riduzione del costo delle cure. Infatti le spese sanitarie sono più alte nelle donne, anche dopo aver sottratto quelle legate al percorso nascita22-23, forse perché ricevono cure meno appropriate24. Particolarmente rilevante a tale proposito è il più basso profilo di sicurezza che si riscontra in corso di terapia farmacologica. Gli effetti avversi, infatti, sono per il cittadino e la cittadina una perdita di salute che impatta sulla qualità della loro vita mentre, per la comunità, sono un inutile spreco di denaro. Pertanto la prevenzione degli effetti avversi nelle donne si pone come strumento non solo di salute, ma anche di risparmio economico, aumentando la sostenibilità dei sistemi sanitari senza dimenticare l’equità.

Per ultimo ricordiamo che l’organizzazione sanitaria per produrre salute finora si è basata sulla medicina basata sulle evidenze o sulle migliori pratiche; da ora in poi appare opportuno che essa si basi anche sulla “valutazione di impatto basato sul genere” (Gender Impact Based Assessment) per la costruzione di sistemi di valutazione che utilizzino standard “genere correlati”.

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