La medicina di genere nella programmazione socio-sanitaria. La Regione Emilia-Romagna c’è

La medicina di genere è un approccio innovativo alle diseguaglianze di salute a partire dall’insorgenza e dall’evoluzione della malattia sino ai trattamenti. Per applicarla, occorre prima di tutto riconoscere che donne e uomini rispondono ad una differente appropriatezza diagnostico-prescrittiva, che dipende tanto dalla biologia quanto da distanze sociali, culturali, psicologiche, economiche. Si tratta di una chiave di lettura che pone in primo piano il tema delle diversità e dei modi con cui un sistema preposto alla cura, all’assistenza, alla ricerca e alla formazione, decide o meno di affrontarle. È noto come la società nel suo complesso, scienza e professione medica incluse, abbia quale premessa culturale di riferimento il genere maschile. Altrettanto vero, eppure assai meno noto ancora oggi, è che tale “implicito culturale” produce un effetto non positivo sia nei processi di cura e assistenza, diagnostici e terapeutici, sia nei loro esiti concreti in termini di prevenzione e salute.

Esattamente qui si inserisce la legge quadro regionale per la parità e contro le discriminazioni di genere della Regione Emilia-Romagna (L.R. 27 giugno 2014, n.6), a correggere un’impostazione frammentata, parziale, settoriale delle politiche – di tutte le politiche – che è palesemente inadeguata a garantire i diritti della persona. Sulla base di studi e sperimentazioni autorevoli, condotte anche in Emilia-Romagna, l’art. 10 di questa legge introduce nel­l’ordinamento sanitario regionale la medicina di genere, legandola alla filosofia della prevenzione, della cura personalizzata e della specificità, verso quell’approccio multidisciplinare che valorizza le differenze per garantire l’efficacia della prestazione sanitaria. È però solo con il Piano regionale sociale e sanitario 2017-2019 che la Regione e il Servizio Sanitario dell’Emilia-Romagna riconosce la medicina genere-specifica, sgombrando il campo da stereotipi che la rappresentano come medicina alternativa o “solo per donne”. Il Piano riconosce infatti la necessità di «un profondo cambiamento di prospettiva da parte della comunità scientifica per colmare quel gap di conoscenze, certamente avanzate, ma non derivate da solidi studi di genere». All’interno delle organizzazioni preposte, questo impegno «si traduce nel concretizzare un’appropriatezza della cura rispettosa del diritto di equità di trattamento sia per uomini che per donne e ... nell’incidere maggiormente sulle prassi organizzative e professionali superando stereotipi culturali e pregiudizi che le orientano».

Affinché la medicina di genere si traduca in pratica e diventi appropriatezza nella prevenzione e nella cura a tutti i livelli, si rende necessario partire dalla formazione, per condividere il patrimonio di evidenze scientifiche maturate nella comunità internazionale. In questo senso il Piano attiva un coordinamento regionale che guidi le sperimentazioni dell’approccio e valorizzi le prassi e ricerche maturate nell’ambito della nostra comunità. Saranno pertanto definite linee guida operative per l’approccio multidisciplinare rivolte a tutte le Aziende Sanitarie dell’Emilia-Romagna, oltre che promossa la diffusione di una formazione omogenea di operatori e operatrici in ambito sanitario, sociosanitario e sociale, compresi i medici convenzionati. Tutto ciò risulta coerente con gli obiettivi individuati dalla legge quadro regionale 6/2014, contribuendo in particolare all’aggiornamento dei dati genere-specifici fondamentali per il Bilancio di Genere dell’Ente, adottato dalla nostra Regione nel 2016. Il sistema integrato di coordinamento, raccolta dati, condivisione di prassi e obiettivi qui delineato, rende evidente l’intento della Regione Emilia-Romagna di affermare un approccio culturale trasversale che si veste dello sguardo differente di un “determinante di salute” fino ad ora troppo sottovalutato. Le Aziende Sanitarie Locali sono ora tenute ad adottare la medicina di genere – e l’integrazione multidisciplinare necessaria – quale obiettivo da realizzare nell’arco di vigenza del Piano, vale a dire entro la fine del 2019, forti del fatto che in questi anni sono state messe le basi per garantire che quanto delineato si traduca in prassi permanente ai vari livelli aziendali (programmazione, gestione, clinical governance e diagnosi/assistenza/terapia). Concretamente significa che le azioni che si andranno ad implementare si incardinano in scelte organizzative strutturate e costituite da un referente aziendale e un board che affianca la direzione generale sull’equità che già oggi formulano piani di attività secondo un approccio culturale trasversale. Sulla base di questo impianto, unico a livello nazionale, la medicina di genere potrà permeare “la vita organizzativa” delle Aziende Sanitarie Locali.







Le Commissioni competenti, Sanità e Parità, dell’Assemblea legislativa verificheranno con periodicità la congruità e l’efficacia del percorso programmato e i suoi esiti fattuali. Non solo. Per valorizzare questo approccio di salute e sensibilizzare la cittadinanza, stanno valutando l’istituzione di una Giornata regionale dedicata, sul modello del ‘Caregiver Day’ già istituito. I risultati ottenuti saranno utili riferimenti operativi anche a livello nazionale, per sostenere l’applicazione della medicina di genere come viene disciplinata dalla Legge di riforma del sistema medico e sanitario 11 gennaio 2018, n. 3. Di questa recentissima normativa sottolineo l’art. 3, dove in particolare si prevede che con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Miur, viene predisposto un Piano formativo nazionale per la medicina di genere, volto a garantire la conoscenza e l’applicazione dell’orientamento alle differenze di genere nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura. Il profondo cambiamento che serve, per un progresso reale del Servizio sanitario nazionale a tutela della persona, si realizzerà soltanto attraverso un’effettiva sussidiarietà, e leale cooperazione delle Istituzioni. La Regione Emilia-Romagna c’è.

Roberta Mori

Presidente della Commissione Parità e Diritti delle Persone della Regione Emilia-Romagna e Coordinatrice nazionale degli Organismi di Parità regionali.

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